10 giugno, parte IV

Author: Monsieur Henri /


Questa giornata è finita. Una giornata così strana che non saprei darle altri aggettivi. Una giornata non triste, ma, appunto, dolente. Una giornata che quasi non voleva finir mai, soprattutto il tramonto... strano, non è vero?
E' stato un lungo tramonto, lo stesso lungo tramonto che ha accompagnato Alessandro, eppure il cielo era tremendamente terso e splendente.

Oserei dire che è stato un bene che oggi non avessi troppe persone intorno. Già giocare, stasera, non è stato facile, soprattutto avendo il volto di Alessandro davanti agli occhi. Poi quella sensazione si è assopita, nel gioco...

Eppure ora ripenso, e ho il gran rimpianto di aver dovuto studiare oggi, invece che dedicarmi a lui. Ho il rimpianto di dover andar a dormire, invece che pensare a lui. Ho il rimpianto di non aver letto tutto il Romanzo d'un sol fiato...

Ma di una cosa non ho il rimpianto... di averlo onorato, di averlo amato. Di aver pianto e di aver sospirato. Di aver scritto di lui e di aver pensato a lui.
No, di questo non mi pentirò mai...

Perché c'è un destino, e io voglio continuare a lavorare per sentirlo vivo, per strapparlo via dalla tomba in cui è stato nascosto e che quasi vorrei che non fosse mai scoperta. Perché? Semplice, non sarebbe quasi più mio, sarebbe venduto, sarebbe visto da milioni di giapponesi assetati di fotografie... sarebbe profanato.
No, che resti lì, tra la sabbia d'Egitto, piuttosto che tutto questo. Preferisco non vederlo mai, piuttosto che vederlo sminuito della sua grandezza.

Perché lui è davvero grande, è stato grande in quella morte senza senso, perché ha aperto la strada ad un mondo nuovo. Qualcuno dice che forse il suo apporto non è stato così grande. Bene, Alessandria e il periodo alessandrino da dove derivano? Come mai voi continuate a leggere le leggende di questo barbaro? Se davvero non ha fatto nulla, chiedetevi perché Alessandro è un nome comunissimo e perché c'è solo un Alessandro il Grande.

La risposta è semplicemente lì, non aspettate a darvela, lui vi ricompenserà.

E ora sorgi di nuovo, Orione, torna alla casa che fu tua. Il sogno è ricominciato, e brilla all'infinito.


I

- Giungemmo: è il Fine. O sacro Araldo, squilla!
Non altra terra se non là, nell'aria,
quella che in mezzo del brocchier vi brilla,

o Pezetèri: errante e solitaria
terra, inaccessa. Dall'ultima sponda
vedete là, mistofori di Caria,

l'ultimo fiume Oceano senz'onda.
O venuti dall'Haemo e dal Carmelo,
ecco, la terra sfuma e si profonda

dentro la notte fulgida del cielo.


II

Fiumane che passai! voi la foresta
immota nella chiara acqua portate,
portate il cupo mormorìo, che resta.

Montagne che varcai! dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidïate.

Azzurri, come il cielo, come il mare,
o monti! o fiumi! era miglior pensiero
ristare, non guardare oltre, sognare:

il sogno è l'infinita ombra del Vero.


III

Oh! più felice, quanto più cammino
m'era d'innanzi; quanto più cimenti,
quanto più dubbi, quanto più destino!

Ad Isso, quando divampava ai vènti
notturno il campo, con le mille schiere,
e i carri oscuri e gl'infiniti armenti.

A Pella! quando nelle lunghe sere
inseguivamo, o mio Capo di toro,
il sole; il sole che tra selve nere,

sempre più lungi, ardea come un tesoro.


IV

Figlio d'Amynta! io non sapea di meta
allor che mossi. Un nomo di tra le are
intonava Timotheo, l'auleta:

soffio possente d'un fatale andare,
oltre la morte; e m'è nel cuor, presente
come in conchiglia murmure di mare.

O squillo acuto, o spirito possente,
che passi in alto e gridi, che ti segua!
ma questo è il Fine, è l'Oceano, il Niente...

e il canto passa ed oltre noi dilegua. -


V

E così, piange, poi che giunse anelo:
piange dall'occhio nero come morte;
piange dall'occhio azzurro come cielo.

Ché si fa sempre (tale è la sua sorte)
nell'occhio nero lo sperar, più vano;
nell'occhio azzurro il desiar, più forte.

Egli ode belve fremere lontano,
egli ode forze incognite, incessanti,
passargli a fronte nell'immenso piano,

come trotto di mandre d'elefanti.


VI

In tanto nell'Epiro aspra e montana
filano le sue vergini sorelle
pel dolce Assente la milesia lana.

A tarda notte, tra le industri ancelle,
torcono il fuso con le ceree dita;
e il vento passa e passano le stelle.

Olympiàs in un sogno smarrita
ascolta il lungo favellìo d'un fonte,
ascolta nella cava ombra infinita

le grandi quercie bisbigliar sul monte.

G. Pascoli, Alexandros

1 commenti:

Anonimo ha detto...

... e soprattutto ieri sera sei passata attraverso le pernacchie degli affezionati compagni di gioco, sin troppo desiderosi di eliminare i tuoi personaggi preferiti. :P
Ma al di là di questo, più passa il tempo e leggo i tuoi post più la tua passione riesce a sorprendermi.