Ora va bene. Grazie, amore mio.

Author: Monsieur Henri /

Erano più o meno le nove e mezza del mattino quando mi sono riaddormentata, oggi. Si sa che i sogni al mattino sono quelli più duraturi, quelli più forti, e non posso che esserne felice, questa volta. Perché, se pure non ricordo esattamente tutta la trama, una cosa me la ricordo eccome. C'era Henri, e non l'Henri Leroux mio, no. Era QUELL'Henri. Forse appena più in carne del quadro che lo raffigura, ma era lui. L'ho visto sorridermi con quel sorriso che mi sono sempre immaginata avesse, l'ho sentito chiamarmi per nome... Ho sentito le sue labbra sulle mie, per secondi che sono durati un'eternità e insieme un nulla. E di nuovo ha sorriso, e di nuovo mi ha chiamato per nome. Mi sono svegliata con una sensazione senza fine dentro di me.
Il 18 ottobre 1793 Henri fu fatto generalissimo. E' forse un caso?

Ho sognato molte cose e molte persone nella mia vita, ma due persone mai, forse perché tanto importano per me: Alessandro e Henri. Mai. E il non sentire mai la loro voce, non avere mai una conferma, un sì, un no, non è sempre facile.

Ma ora... Ora è cambiato tutto. Ora lui mi ha sorriso, mi ha chiamato per nome, mi ha anche baciato. E, paradossalmente, questa è la parte meno importante, anche se ammetto di sentire ancora le sue labbra sulle mie. No, la cosa che veramente è importante è che l'ho visto. E che va bene così.

Non posso più dire nulla... Sono ancora troppo confusa e troppo allucinata anche solo per pensare. Chiudo gli occhi, e c'è lui, e mi sorride...

Grazie, amore mio. Grazie.


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Parigi, e i suoi brividi.

Author: Monsieur Henri /

Felice di stare ancora male quando leggo le Efemeridi reali di Alessandro.

Felice di passeggiare per il Palais Royal e provare sempre quel brivido legato ad un ricordo che non esiste.

Felice di guardare il café Vefour e avere gli occhi lucidi ricordando il mio primo Henri.

Felice di riuscire sempre a provare questo tipo di emozioni.

Per un amore e per un'amica

Author: Monsieur Henri /

"Non è da noi cercare un senso. Non è da noi cercare delle radici che ci leghino alla terra. Non è da noi perché così non vuole il nostro sangue, e ci chiameranno pazzi, in un futuro, e ci diranno che era tutto l'immaginazione di una mente malata. Attribuiranno al vino, alla malattia, al lutto ogni nostra azione che non comprendono, e intanto cercheranno di dare un nome a Dio. Folli, noi?

Quando ero giovane, quando ero davvero molto giovane, e i miei capelli erano veramente biondi, quando i miei occhi di color diverso si aprivano stupiti su ogni singolo miracolo della natura e dell'uomo, mi dicevano che il mondo era finito, che avremmo incontrato il grande fiume Oceano a circondare il mondo, e che Odisseo era stato fermato da due enormi colonne quando aveva tentato di oltrepassare quello stesso fiume. Come potevano sperare che il mio cuore non desiderasse vedere quei luoghi, e superare Odisseo? Fu solo colpa mia, o non fu piuttosto l'essere cresciuto sentendosi dire continuamente 'tu sei discendente di Achille', 'tu sei discendente di Eracle', l'aver avuto come grandissima e unica fonte di lettura e cultura l'Iliade?

Sì, sono un folle, perché ho lasciato che per tutta la mia vita il sangue che mi ribolliva in corpo fosse il grande direttore delle mie azioni: ho secondato l'Achille che era in me, e l'ho pagato, perché ho sacrificato il mio Patroclo e la mia tomba è stata divelta da chissà quali forze barbariche. Sì, sono un folle, perché con il mio guardare verso l'alto osservavo il mio personale Olimpo, popolato dai miei eroi e dai miei ideali, e non credevo ai vari Zeus portatore di fulmine o Poseidone signore dei cavalli. Sì, sono un folle, perché ho creato un impero universale su cui il sole non potesse mai e poi mai tramontare, e tutti i popoli sono uno, e una è la lingua, un impero in cui ogni religione è rispettata e ogni credo trattato alla stessa maniera.
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho fatto radere le criniere dei cavalli?
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho distrutto una popolazione?
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho capito che sarei morto, in modo stupido e inutile?

E così anche tu. Come potevano pretendere che non desiderassi il Sublime, se tutto intorno a te risuonava della musica di Wagner, se le montagne si ergevano vorticose attorno a te dandoti un senso di vertigine, se i cigni nuotavano ogni giorno davanti ai tuoi occhi? Come potevi non agognare di superare quelle montagne, di volare in alto come quei meravigliosi uccelli, di ritrovare il mondo mitico di Wagner?
Fu davvero solo colpa tua, o, peggio, della sifilide, se costruisti quei castelli assolutamente folli, o piuttosto fu colpa dell'ambiente in cui crescesti, che da una parte osannava i cavalieri in armatura e dall'altro ragionava soltanto in base al denaro? Quale dei due inferni si dovrebbe preferire?

Sì, sei un folle, perché hai lasciato che quello che Wagner portava nella sua musica diventasse un inno universale alla purezza e alla superiorità del sogno: hai secondato il Lohengrin che era in te, e l'hai pagato, perché la tua Elsa non è mai esistita, e, se lo ha fatto, ti ha chiesto il tuo nome troppo spesso perché tu potessi resistere. Sì, sei un folle, perché creavi il tuo personale Olimpo, popolato dai tuoi eroi e dai tuoi ideali, e non credevi nel Dio cui ti obbligavano a credere in quelle fredde chiese, il Dio vendicativo e primitivo dell'Antico Testamento. Sì, sei un folle, perché hai costruito dei palazzi come inni di Bellezza e di Ideale che da tutti e per sempre saranno rimirati, in cui chiunque potrà ammirare, ma forse non capire.
Folle, perché per Wagner hai fatto costruire un teatro incredibile come mai ce ne sono stati?
Folle, perché per Wagner hai speso tutto ciò che avresti potuto spendere per te?
Folle, perché per Wagner hai fatto rappresentare opere che per sempre saranno rappresentate?

No. La nostra follia è stata solo quella di essere noi, sulle vette dell'Hindu Kush come sul lago di Berg, è stata quella di credere in un sogno che forse era visibile solo da noi, nel mondo in cui vivevamo, è stata lasciare qualcosa di cui tutti parleranno e che tutti vedranno.

Abbiamo lasciato un sogno. Basta seguire i nostri sguardi, in statue e ritratti. Sono rivolti verso l'alto, basta seguirli.

E c'è chi lo farà."

Henri

6 giugno 1832

Author: Monsieur Henri /

Al mio Enjolras, per sempre.
Un amore non storico, un amore letterario. Un amore che è sempre stato presente, dalla prima volta che lessi quella descrizione. L'assoluto che sa di morire, il giovane che sa di non poter diventar vecchio. Forse Hugo ha preso l'immagine da Henri, e se davvero è così allora è ancora più magico. Ma se non lo ha fatto, non importa. Enjolras è il mio personaggio preferito di tutta la letteratura di ogni epoca.

Perché?

Non lo so. Non c'è da spiegare. Perché è sublime e idealista, perché non c'è nulla che ami più della sua amata Patria, perché non sorride mai se non prima di morire, perché piange uccidendo un giovane come lui. Perché è il 93, e perché è anche uno dei più umani, in quanto la sua umanità è l'umanità della statua che prende vita.

Grazie, Hugo, per averlo creato. Grazie per avermelo consegnato. Grazie di avermi concesso il privilegio di chiamarlo *il mio personaggio preferito di tutta la letteratura di ogni epoca*. Grazie.



Chapitre XXIII

Oreste à jeun et Pylade ivre


Enfin, se faisant la courte échelle, s'aidant du squelette de l'escalier, grimpant aux murs, s'accrochant au plafond, écharpant, au bord de la trappe même, les derniers qui résistaient, une vingtaine d'assiégeants, soldats, gardes nationaux, gardes municipaux, pêle-mêle, la plupart défigurés par des blessures au visage dans cette ascension redoutable, aveuglés par le sang, furieux, devenus sauvages, firent irruption dans la salle du premier étage. Il n'y avait plus là qu'un seul qui fût debout, Enjolras. Sans cartouches, sans épée, il n'avait plus à la main que le canon de sa carabine dont il avait brisé la crosse sur la tête de ceux qui entraient. Il avait mis le billard entre les assaillants et lui; il avait reculé à l'angle de la salle, et là, l'oeil fier, la tête haute, ce tronçon d'arme au poing, il était encore assez inquiétant pour que le vide se fût fait autour de lui. Un cri s'éleva:

--C'est le chef. C'est lui qui a tué l'artilleur. Puisqu'il s'est mis là, il y est bien. Qu'il y reste. Fusillons-le sur place.

--Fusillez-moi, dit Enjolras.

Et, jetant le tronçon de sa carabine, et croisant les bras, il présenta sa poitrine.

L'audace de bien mourir émeut toujours les hommes. Dès qu'Enjolras eut croisé les bras, acceptant la fin, l'assourdissement de la lutte cessa dans la salle, et ce chaos s'apaisa subitement dans une sorte de solennité sépulcrale. Il semblait que la majesté menaçante d'Enjolras désarmé et immobile pesât sur ce tumulte, et que, rien que par l'autorité de son regard tranquille, ce jeune homme, qui seul n'avait pas une blessure, superbe, sanglant, charmant, indifférent comme un invulnérable, contraignît cette cohue sinistre à le tuer avec respect. Sa beauté, en ce moment-là augmentée de sa fierté, était un resplendissement, et, comme s'il ne pouvait pas plus être fatigué que blessé, après les effrayantes vingt-quatre heures qui venaient de s'écouler, il était vermeil et rose. C'était de lui peut-être que parlait le témoin qui disait plus tard devant le conseil de guerre: «Il y avait un insurgé que j'ai entendu nommer Apollon.» Un garde national qui visait Enjolras abaissa son arme en disant: «Il me semble que je vais fusiller une fleur.»

Douze hommes se formèrent en peloton à l'angle opposé à Enjolras, et apprêtèrent leurs fusils en silence. Puis un sergent cria:--Joue.

Un officier intervint.

--Attendez.

Et s'adressant à Enjolras:

--Voulez-vous qu'on vous bande les yeux?

--Non.

--Est-ce bien vous qui avez tué le sergent d'artillerie?

--Oui.

Depuis quelques instants Grantaire s'était réveillé.

Grantaire, on s'en souvient, dormait depuis la veille dans la salle haute du cabaret, assis sur une chaise, affaissé sur une table. Il réalisait, dans toute son énergie, la vieille métaphore: ivre mort. Le hideux philtre absinthe-stout-alcool l'avait jeté en léthargie. Sa table étant petite et ne pouvant servir à la barricade, on la lui avait laissée. Il était toujours dans la même posture, la poitrine pliée sur la table, la tête appuyée à plat sur les bras, entouré de verres, de
chopes et de bouteilles. Il dormait de cet écrasant sommeil de l'ours engourdi et de la sangsue repue. Rien n'y avait fait, ni la fusillade, ni les boulets, ni la mitraille qui pénétrait par la croisée dans la salle où il était, ni le prodigieux vacarme de l'assaut. Seulement, il répondait quelquefois au canon par un ronflement. Il semblait attendre là qu'une balle vînt lui épargner la peine de se réveiller. Plusieurs cadavres gisaient autour de lui; et, au premier coup d'oeil, rien ne le distinguait de ces dormeurs profonds de la mort. Le bruit n'éveille pas un ivrogne, le silence le réveille. Cette singularité a été plus d'une fois observée. La chute de tout, autour de lui, augmentait l'anéantissement de Grantaire; l'écroulement le berçait.--L'espèce de halte que fit le tumulte devant Enjolras fut une secousse pour ce pesant sommeil. C'est l'effet d'une voiture au galop qui s'arrête court. Les assoupis s'y réveillent. Grantaire se dressa en sursaut, étendit les bras, se frotta les yeux, regarda, bâilla, et
comprit. L'ivresse qui finit ressemble à un rideau qui se déchire. On voit, en bloc et d'un seul coup d'oeil, tout ce qu'elle cachait. Tout s'offre subitement à la mémoire; et l'ivrogne qui ne sait rien de ce qui s'est passé depuis vingt-quatre heures, n'a pas achevé d'ouvrir les paupières, qu'il est au fait. Les idées lui reviennent avec une lucidité brusque; l'effacement de l'ivresse, sorte de buée qui aveuglait le cerveau, se dissipe, et fait place à la claire et nette obsession des réalités.

Relégué qu'il était dans son coin et comme abrité derrière le billard, les soldats, l'oeil fixé sur Enjolras, n'avaient pas même aperçu Grantaire, et le sergent se préparait à répéter l'ordre: En joue! quand tout à coup ils entendirent une voix forte crier à côté d'eux:

--Vive la République! J'en suis.

Grantaire s'était levé.

L'immense lueur de tout le combat qu'il avait manqué, et dont il n'avait pas été, apparut dans le regard éclatant de l'ivrogne transfiguré.

Il répéta: Vive la République! traversa la salle d'un pas ferme, et alla se placer devant les fusils debout près d'Enjolras.

--Faites-en deux d'un coup, dit-il.

Et, se tournant vers Enjolras avec douceur, il lui dit:

--Permets-tu?

Enjolras lui serra la main en souriant.

Ce sourire n'était pas achevé que la détonation éclata.

Enjolras, traversé de huit coups de feu, resta adossé au mur comme si les balles l'y eussent cloué. Seulement il pencha la tête.

Grantaire, foudroyé, s'abattit à ses pieds.

Monsieur Henri

Author: Monsieur Henri /



Ci sono momenti, nella vita, che sono cruciali. Sembrano normali, nulla, all'apparenza, ma poi scopri che ti hanno letteralmente cambiato la vita. Spesso non ti ricordi nemmeno la data, a distanza di tempo, spesso non ricordi nemmeno con precisione quel che successe.

Ma una fortuna l'ho avuta, almeno una volta. Il 2 luglio 1999 cambiò totalmente la mia vita, perché conobbi Henri. Conobbi il suo viso, un viso che mai, qualunque cosa succederà, se ne andrà dal mio cuore. Ero da mia zia, che mi aveva dato il libro "La Primula Rossa", della baronessa Orczy, e c'era il suo ritratto come frontespizio - una di quelle rarissime volte in cui sembra che chi fa le copertine sappia effettivamente di cosa parla il libro. Me lo ricordo perfettamente, ero seduta vicino all'altalena e leggevo, e credo che ad un certo punto mi annoiai, perciò chiusi il libro e i suoi occhi si legarono ai miei per sempre. Per fortuna annotai quella data, anche se non sapevo cosa avrebbe significato per me.

Ci misi molto tempo ad accettare che Henri fosse monarchico. Era inconcepibile, per me. Uno così bello, uno così splendido non poteva che essere repubblicano. C'era scritto "le roi" dietro al suo viso, ma non importava, non poteva essere. Mi sentii in colpa, tremendamente, perché tradivo le mie idee per correre dietro ad un bel visino. Solo molto, molto lentamente riuscii ad accettare l'idea che si può ammirare la persona senza per forza condividerne gli ideali. E' stato uno sforzo di astrazione, lo ammetto. Mi ha dato da fare sin dall'inizio, e ancora continua, quando mi dicono "ma tu, tutta piena di ghigliottine, come puoi avere questa passione per un monarchico?"

Perché non è passione, è amore. Semplice. Chiaro. Non c'è bisogno di dire altro.

Scrissi "Gli occhi azzurri del demonio", qualcosa che ora non riuscirei più a scrivere, e sono veramente contenta di averlo fatto in tempo, perché con Catherine riuscii a farlo più mio.
Ne scrissi ancora, più volte, in un modo o nell'altro, ma senza più riuscire a farne il mio amante. Perché, se l'avessi fatto di nuovo, lui non sarebbe stato lui.

L'Henri degli Occhi Azzurri è l'Henri della ragazzina che ero fino a 18 anni.
L'Henri dei Due Angeli è l'Henri della persona che sono ora.
Ci sarà probabilmente un altro Henri, nel futuro.

Il 25 luglio 2005 ti conobbi in un'altra meravigliosa maniera. Ebbi la forza di separarmi dai miei e andare a vedere i suoi luoghi: Nouaillé, dove fu ucciso a tradimento, Cholet, dove 'è il museo con il suo grande ritratto, La Durbellière, con il suo castello, la sua tomba. La sua tomba. Paradossale, non ho pianto davanti alla sua tomba, non come avrei pensato, non come ho pianto davanti al luogo in cui fu ucciso. Ero in pace, perché anche lui lo era. E' stato incredibile, magico. Qualcosa che non ha nemmeno senso raccontare, perché lo ricorderò per sempre, una delle esperienze più forti della mia vita. Ho ritrovato le pagine che avevo scritto, a mano, quel giorno, e c'è una frase che mi ha colpito, perché riassume tutto quello che provai: "Ho ringraziato Dio di averti portato su questa terra, di averti donato a me. Sì, lo so. Sono pazza. Parlo con un morto, scrivo ad un morto! Però io ci credo, continuo a credere che tu, dall'alto, mi protegga. So che ci sei sempre. Per questo ti scrivo. Mi permetti di scriverti?"

Sì, ringrazio Dio che ti ha donato a me, che ha fatto sì che ti conoscessi. Ringrazio Dio di avermi dato la possibilità di amarti. E prego sempre perché, almeno una volta, tu mi appaia nel sonno e mi dica: "Sì, va bene così. Va bene".

Monsieur Henri, è così che mi firmo su questo blog. Henri anche da prima che conoscessi il vero Henri. Si chiamava così, in realtà, Aramis, mio grande eroe dell'infanzia. E guarda caso, il nome non è cambiato.

Sì, su Henri è stata costruita una gran parte della mia vita.

E so che non è successo per caso...

Amo quella voce! E la amo così tanto da odiarla!

Author: Monsieur Henri /

Perché devi entrare sempre nella mia vita, quando così spesso mi sembri acqua passata?

Perché devo sentire la tua voce e piangere?

Perché mi fai questo, non sapendo di farlo?

Quanto avrei non averti mai conosciuto, a volte! Una di queste volte è ora. Perché questo smarrimento?

E perché questa gelosia? Non nei confronti di Lei, no, ma di chi ti conosce, di chi forse ha il coraggio, le possibilità, di chi ha avuto persona cui non hanno tarpato le ali!

Gelosa, sono gelosa marcia, di quella ragazza! Perché ha un coraggio che io non ho... Che non avrò mai più. E dire che ti amavo tanto... E dire che avrei fatto pazzie per te!

Perché devi entrare così nella mia vita? Perché non in un modo più diretto? Perché devi cantare sempre e solo in Germania? Perché non torni qui?

Perché non trovo la forza di fare domande che avrebbero una risposta?

Forse una spiegazione a quest'ultima domanda c'è. Perché non voglio essere delusa di nuovo. Mi hai già delusa una volta, e, lo ammetto, a volte, guardando le tue foto, mi ricordo perché.

Mi deluderesti di nuovo? Non lo so. E, se oggi mi importa, domani non mi importerà. Domani ti ascolterò con il sorriso, lo so. Ma non oggi. Oggi odio la tua voce, oggi odio quello che mi hai fatto, e che non sai, né saprai mai, che mi hai fatto!

Mi hai stregato, Massimo, tanti anni fa! E continui a farlo, santo cielo! Continui!!

Un solo giorno a casa

Author: Monsieur Henri /

E' un giorno, un solo giorno che sono a casa, a Reggio. Eppure c'è un pensiero fisso, continuo. Micidiale. Continuo a vederla dovunque, i miei stessi movimenti, d'istinto, la cercano. I miei occhi guardano senza che io li possa fermare i luoghi in cui lei stava di più. E il letto è vuoto. Freddo e vuoto. Credevo che andarmene avrebbe fatto meno impressione, e invece no, è il contrario. Me ne vado, e quando ritorno è un inizio sempre nuovo. Come se non me ne fossi mai andata, come se fosse successo ieri. Ormai sono passati otto mesi. E non è cambiata una virgola. Mi manca talmente tanto che mi strapperei il cuore se potessi. Lentamente non penso più tanto al giorno in cui è morta, per fortuna quell'immagine sta diventando meno potente di tutti gli altri bellissimi sedici anni passati con lei. Ma lei, lei c'è sempre. La mia presenza splendida, la mia sorella c'è sempre, e mi manca da morire... Nulla potrà cancellare la sua presenza, e nessuno potrà sostituirla. Era... E'... la mia sorellina adorata. E anche se la sua assenza mi strappa il cuore, sono così felice di averla potuta tenere tra le braccia fino all'ultimo.

Angeli custodi

Author: Monsieur Henri /

Stanotte ho sognato mia nonna Maria, forse per la prima volta in vita mia. Tutti mi dicevano "ma, guarda, non l'hai mai vista, come fai ad essere sicura fosse lei?", ma io lo ero, e lo sono ancora. Era lì, davanti a me, non parlava ma sorrideva, sorrideva come deve fare una nonna. E' stata un'esperienza bellissima, triste e bellissima. Dopo di lei, anche Ciffo si è mostrata. Credo di aver pianto, anche nel sonno, ma ora so una cosa in più, che entrambe, i miei due angeli, mi sono davvero vicini, in qualunque occasione. Mi viene ancora molta tristezza, ora, e scrivendone ho gli occhi pieni di lacrime. Ma voglio ricordare quel sorriso di mia nonna, e quelle fusa di Ciffo.
Ai miei due angeli custodi, un grazie...

28 janvier 1794

Author: Monsieur Henri /

Come tutti gli anni, amore mio, anche quest'anno non ti sei mostrato. Ma c'era la luna, stanotte. La luna che mi illuminava il viso e che forse ha illuminato anche il tuo, tanto tempo fa. Io ti amerò sempre. Sei la mia meravigliosa spiga di grano, sei il mio amore. Per sempre, Henri, per sempre.

Sì, Henri. Siamo i più fortunati. Lo saremo anche se tutto precipiterà nel disastro, e ci troveremo esuli in terra straniera, travolti dai ricordi di questi mesi. Siamo nati per ritrovarci, per unirci com'era stato scritto dal Signore buono e misericordioso. Il nostra destino era già stato scritto dalle Sue mani giuste, e nulla, ora te lo posso giurare, nulla più mi dividerà da te. Io sono qui per essere tua, tua sorella, tua amica, tua moglie, la madre dei tuoi figli. Forse questo è tutto un sogno, forse domani mi sveglierò e mi ritroverò a Parigi, nell'affollata Assemblea, e mi saluteranno sorridendo: "Buongiorno, Cathy". Ma come pronuncerai tu quelle parole, domattina, nessuno potrà farlo. La tua dolcezza, il tuo respiro dolce e buono, che accarezza come una madre accarezza il figlio malato… non potrò più rinunciare a tutto questo.
Morirò, prima di rinunciare a te.

“In quanto a Henri, la sua fine fu tragica. Era riuscito a riunire qualche uomo attorno a sé e aveva cominciato a diventare di nuovo Monsieur Henri. Durante una pattuglia, il 28 gennaio 1794, vide davanti a sé un repubblicano che stava fuggendo. Lo raggiunse e gli intimò di arrendersi, di gettare il fucile, in cambio della vita. Il repubblicano riconobbe nel suo vestire uno dei capi e, fingendo di arrendersi, mirò e fece fuoco. Henri morì sull'istante, senza sofferenza, colpito in piena fronte. Una morte senza senso, dissero in molti, una morte da vigliacco. Non è vero: Henri poteva morire solo così, o sulla ghigliottina. Il destino ha scelto per lui una morte dolente, quasi da martire, una morte senza dolore. Temendo che potesse essere riconosciuto dai repubblicani, Stofflet, con le lacrime agli occhi, fece in modo che nessuno più vedesse il viso da angelo di Monsieur Henri: prese la sciabola e sfigurò il suo corpo, così da renderlo irriconoscibile, e lo seppellì senza un nome, all'oscuro.
“Ho trovato un biglietto, in questo quaderno, indirizzato alla contessa de La Rochejaquelein. Era firmato François-Joseph Vien, alias Robespierre. Conteneva queste parole: “Promettimi di vivere per sempre felice, mia dolce Cathy. Vivi e ama, tu che puoi!”
“Una sola consolazione, a me così vecchio, è saperli uniti, lontani da un mondo che non li avrebbe accettati. Ogni giorno prego per loro, per il loro bambino, e sono sicuro che il Signore accolga la mia preghiera, anche se sono un peccatore. Ma ora basta parlare del passato. Raccontare questa storia ha aperto ferite che credevo chiuse. Forse brucerò queste memorie: Caterina avrebbe voluto così. Ma l'Imperatore mi aveva chiesto con tanta insistenza di presentargli coloro che io amavo come se fossero miei figli e non ho potuto resistere. Forse, in fin dei conti, scrivere tutto mi ha fatto bene. Mi sento più sereno, pensando a quelle due belle creature nate per amarsi e per soffrire. Aveva ragione Cathy: erano i più fortunati.



Gli Occhi Azzurri del Demonio