Per un amore e per un'amica

Author: Monsieur Henri /

"Non è da noi cercare un senso. Non è da noi cercare delle radici che ci leghino alla terra. Non è da noi perché così non vuole il nostro sangue, e ci chiameranno pazzi, in un futuro, e ci diranno che era tutto l'immaginazione di una mente malata. Attribuiranno al vino, alla malattia, al lutto ogni nostra azione che non comprendono, e intanto cercheranno di dare un nome a Dio. Folli, noi?

Quando ero giovane, quando ero davvero molto giovane, e i miei capelli erano veramente biondi, quando i miei occhi di color diverso si aprivano stupiti su ogni singolo miracolo della natura e dell'uomo, mi dicevano che il mondo era finito, che avremmo incontrato il grande fiume Oceano a circondare il mondo, e che Odisseo era stato fermato da due enormi colonne quando aveva tentato di oltrepassare quello stesso fiume. Come potevano sperare che il mio cuore non desiderasse vedere quei luoghi, e superare Odisseo? Fu solo colpa mia, o non fu piuttosto l'essere cresciuto sentendosi dire continuamente 'tu sei discendente di Achille', 'tu sei discendente di Eracle', l'aver avuto come grandissima e unica fonte di lettura e cultura l'Iliade?

Sì, sono un folle, perché ho lasciato che per tutta la mia vita il sangue che mi ribolliva in corpo fosse il grande direttore delle mie azioni: ho secondato l'Achille che era in me, e l'ho pagato, perché ho sacrificato il mio Patroclo e la mia tomba è stata divelta da chissà quali forze barbariche. Sì, sono un folle, perché con il mio guardare verso l'alto osservavo il mio personale Olimpo, popolato dai miei eroi e dai miei ideali, e non credevo ai vari Zeus portatore di fulmine o Poseidone signore dei cavalli. Sì, sono un folle, perché ho creato un impero universale su cui il sole non potesse mai e poi mai tramontare, e tutti i popoli sono uno, e una è la lingua, un impero in cui ogni religione è rispettata e ogni credo trattato alla stessa maniera.
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho fatto radere le criniere dei cavalli?
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho distrutto una popolazione?
Folle, perché dopo la morte di Efestione ho capito che sarei morto, in modo stupido e inutile?

E così anche tu. Come potevano pretendere che non desiderassi il Sublime, se tutto intorno a te risuonava della musica di Wagner, se le montagne si ergevano vorticose attorno a te dandoti un senso di vertigine, se i cigni nuotavano ogni giorno davanti ai tuoi occhi? Come potevi non agognare di superare quelle montagne, di volare in alto come quei meravigliosi uccelli, di ritrovare il mondo mitico di Wagner?
Fu davvero solo colpa tua, o, peggio, della sifilide, se costruisti quei castelli assolutamente folli, o piuttosto fu colpa dell'ambiente in cui crescesti, che da una parte osannava i cavalieri in armatura e dall'altro ragionava soltanto in base al denaro? Quale dei due inferni si dovrebbe preferire?

Sì, sei un folle, perché hai lasciato che quello che Wagner portava nella sua musica diventasse un inno universale alla purezza e alla superiorità del sogno: hai secondato il Lohengrin che era in te, e l'hai pagato, perché la tua Elsa non è mai esistita, e, se lo ha fatto, ti ha chiesto il tuo nome troppo spesso perché tu potessi resistere. Sì, sei un folle, perché creavi il tuo personale Olimpo, popolato dai tuoi eroi e dai tuoi ideali, e non credevi nel Dio cui ti obbligavano a credere in quelle fredde chiese, il Dio vendicativo e primitivo dell'Antico Testamento. Sì, sei un folle, perché hai costruito dei palazzi come inni di Bellezza e di Ideale che da tutti e per sempre saranno rimirati, in cui chiunque potrà ammirare, ma forse non capire.
Folle, perché per Wagner hai fatto costruire un teatro incredibile come mai ce ne sono stati?
Folle, perché per Wagner hai speso tutto ciò che avresti potuto spendere per te?
Folle, perché per Wagner hai fatto rappresentare opere che per sempre saranno rappresentate?

No. La nostra follia è stata solo quella di essere noi, sulle vette dell'Hindu Kush come sul lago di Berg, è stata quella di credere in un sogno che forse era visibile solo da noi, nel mondo in cui vivevamo, è stata lasciare qualcosa di cui tutti parleranno e che tutti vedranno.

Abbiamo lasciato un sogno. Basta seguire i nostri sguardi, in statue e ritratti. Sono rivolti verso l'alto, basta seguirli.

E c'è chi lo farà."

Henri

6 giugno 1832

Author: Monsieur Henri /

Al mio Enjolras, per sempre.
Un amore non storico, un amore letterario. Un amore che è sempre stato presente, dalla prima volta che lessi quella descrizione. L'assoluto che sa di morire, il giovane che sa di non poter diventar vecchio. Forse Hugo ha preso l'immagine da Henri, e se davvero è così allora è ancora più magico. Ma se non lo ha fatto, non importa. Enjolras è il mio personaggio preferito di tutta la letteratura di ogni epoca.

Perché?

Non lo so. Non c'è da spiegare. Perché è sublime e idealista, perché non c'è nulla che ami più della sua amata Patria, perché non sorride mai se non prima di morire, perché piange uccidendo un giovane come lui. Perché è il 93, e perché è anche uno dei più umani, in quanto la sua umanità è l'umanità della statua che prende vita.

Grazie, Hugo, per averlo creato. Grazie per avermelo consegnato. Grazie di avermi concesso il privilegio di chiamarlo *il mio personaggio preferito di tutta la letteratura di ogni epoca*. Grazie.



Chapitre XXIII

Oreste à jeun et Pylade ivre


Enfin, se faisant la courte échelle, s'aidant du squelette de l'escalier, grimpant aux murs, s'accrochant au plafond, écharpant, au bord de la trappe même, les derniers qui résistaient, une vingtaine d'assiégeants, soldats, gardes nationaux, gardes municipaux, pêle-mêle, la plupart défigurés par des blessures au visage dans cette ascension redoutable, aveuglés par le sang, furieux, devenus sauvages, firent irruption dans la salle du premier étage. Il n'y avait plus là qu'un seul qui fût debout, Enjolras. Sans cartouches, sans épée, il n'avait plus à la main que le canon de sa carabine dont il avait brisé la crosse sur la tête de ceux qui entraient. Il avait mis le billard entre les assaillants et lui; il avait reculé à l'angle de la salle, et là, l'oeil fier, la tête haute, ce tronçon d'arme au poing, il était encore assez inquiétant pour que le vide se fût fait autour de lui. Un cri s'éleva:

--C'est le chef. C'est lui qui a tué l'artilleur. Puisqu'il s'est mis là, il y est bien. Qu'il y reste. Fusillons-le sur place.

--Fusillez-moi, dit Enjolras.

Et, jetant le tronçon de sa carabine, et croisant les bras, il présenta sa poitrine.

L'audace de bien mourir émeut toujours les hommes. Dès qu'Enjolras eut croisé les bras, acceptant la fin, l'assourdissement de la lutte cessa dans la salle, et ce chaos s'apaisa subitement dans une sorte de solennité sépulcrale. Il semblait que la majesté menaçante d'Enjolras désarmé et immobile pesât sur ce tumulte, et que, rien que par l'autorité de son regard tranquille, ce jeune homme, qui seul n'avait pas une blessure, superbe, sanglant, charmant, indifférent comme un invulnérable, contraignît cette cohue sinistre à le tuer avec respect. Sa beauté, en ce moment-là augmentée de sa fierté, était un resplendissement, et, comme s'il ne pouvait pas plus être fatigué que blessé, après les effrayantes vingt-quatre heures qui venaient de s'écouler, il était vermeil et rose. C'était de lui peut-être que parlait le témoin qui disait plus tard devant le conseil de guerre: «Il y avait un insurgé que j'ai entendu nommer Apollon.» Un garde national qui visait Enjolras abaissa son arme en disant: «Il me semble que je vais fusiller une fleur.»

Douze hommes se formèrent en peloton à l'angle opposé à Enjolras, et apprêtèrent leurs fusils en silence. Puis un sergent cria:--Joue.

Un officier intervint.

--Attendez.

Et s'adressant à Enjolras:

--Voulez-vous qu'on vous bande les yeux?

--Non.

--Est-ce bien vous qui avez tué le sergent d'artillerie?

--Oui.

Depuis quelques instants Grantaire s'était réveillé.

Grantaire, on s'en souvient, dormait depuis la veille dans la salle haute du cabaret, assis sur une chaise, affaissé sur une table. Il réalisait, dans toute son énergie, la vieille métaphore: ivre mort. Le hideux philtre absinthe-stout-alcool l'avait jeté en léthargie. Sa table étant petite et ne pouvant servir à la barricade, on la lui avait laissée. Il était toujours dans la même posture, la poitrine pliée sur la table, la tête appuyée à plat sur les bras, entouré de verres, de
chopes et de bouteilles. Il dormait de cet écrasant sommeil de l'ours engourdi et de la sangsue repue. Rien n'y avait fait, ni la fusillade, ni les boulets, ni la mitraille qui pénétrait par la croisée dans la salle où il était, ni le prodigieux vacarme de l'assaut. Seulement, il répondait quelquefois au canon par un ronflement. Il semblait attendre là qu'une balle vînt lui épargner la peine de se réveiller. Plusieurs cadavres gisaient autour de lui; et, au premier coup d'oeil, rien ne le distinguait de ces dormeurs profonds de la mort. Le bruit n'éveille pas un ivrogne, le silence le réveille. Cette singularité a été plus d'une fois observée. La chute de tout, autour de lui, augmentait l'anéantissement de Grantaire; l'écroulement le berçait.--L'espèce de halte que fit le tumulte devant Enjolras fut une secousse pour ce pesant sommeil. C'est l'effet d'une voiture au galop qui s'arrête court. Les assoupis s'y réveillent. Grantaire se dressa en sursaut, étendit les bras, se frotta les yeux, regarda, bâilla, et
comprit. L'ivresse qui finit ressemble à un rideau qui se déchire. On voit, en bloc et d'un seul coup d'oeil, tout ce qu'elle cachait. Tout s'offre subitement à la mémoire; et l'ivrogne qui ne sait rien de ce qui s'est passé depuis vingt-quatre heures, n'a pas achevé d'ouvrir les paupières, qu'il est au fait. Les idées lui reviennent avec une lucidité brusque; l'effacement de l'ivresse, sorte de buée qui aveuglait le cerveau, se dissipe, et fait place à la claire et nette obsession des réalités.

Relégué qu'il était dans son coin et comme abrité derrière le billard, les soldats, l'oeil fixé sur Enjolras, n'avaient pas même aperçu Grantaire, et le sergent se préparait à répéter l'ordre: En joue! quand tout à coup ils entendirent une voix forte crier à côté d'eux:

--Vive la République! J'en suis.

Grantaire s'était levé.

L'immense lueur de tout le combat qu'il avait manqué, et dont il n'avait pas été, apparut dans le regard éclatant de l'ivrogne transfiguré.

Il répéta: Vive la République! traversa la salle d'un pas ferme, et alla se placer devant les fusils debout près d'Enjolras.

--Faites-en deux d'un coup, dit-il.

Et, se tournant vers Enjolras avec douceur, il lui dit:

--Permets-tu?

Enjolras lui serra la main en souriant.

Ce sourire n'était pas achevé que la détonation éclata.

Enjolras, traversé de huit coups de feu, resta adossé au mur comme si les balles l'y eussent cloué. Seulement il pencha la tête.

Grantaire, foudroyé, s'abattit à ses pieds.